La Dott.ssa Alice Brighenti è una psicologa specializzata in Psicoterapia dell’infanzia e dell’adolescenza.
Lavora come libero professionista e si occupa principalmente di: sostegno psicologico rivolto a bambini e adolescenti in merito a tutte le problematiche inerenti l’età evolutiva, sostegno alla genitorialità, uno spazio di ascolto per i genitori, che permetta loro di esprimere timori e preoccupazioni rispetto al delicato ruolo genitoriale.
Il seguente articolo è stato redatto da lei in merito alle “Interazioni madre-bambino nella vita prenatale”.
“La gravidanza è un momento molto particolare nella vita di una donna. E’ il momento in cui ogni donna è chiamata a fare spazio dentro di sé all’arrivo di una nuova vita, con la quale entrerà subito in contatto e che porterà con sé per i suoi prossimi nove mesi. Nove mesi ricchi di tante domande, aspettative, timori e curiosità. I nove mesi della gravidanza si accompagnano a cambiamenti graduali che riguardano il corpo e la mente della donna nella loro complessità e rappresentano il tempo necessario alla maturazione e accrescimento fetale e allo stesso tempo necessario anche alla maturazione delle competenze genitoriali che sono alla base del legame madre-bambino.
Gina Ferrari Mori (2008) definisce la maternità come “il luogo delle fantasie, delle emozioni, dei sogni; è la residenza di legami, affetti, relazioni nuove, è il contenitore di quel bambino fantasmatizzato interno che diventerà il bambino reale esterno”. E’ noto in letteratura che la relazione tra una madre e il suo bambino si origina ben prima della nascita ed influenza la qualità della relazione post natale. La madre, fin dal concepimento, immagina e pensa il futuro nascituro, creandosi immagini e aspettative che faranno da cornice a tutto il periodo gestazionale. Immaginarsi come sarà, a chi assomiglierà, se sarà moro, biondo, vivace, tranquillo, tutte fantasie tipiche del periodo gestazionale e che sono alla base del primo legame madre-feto.
Il legame che si crea fin dal concepimento viene definito da Cranley (1981) “attaccamento prenatale”, quel particolare legame che i genitori sviluppano durante le fasi della gravidanza verso il bambino che attendono: manifestazioni comportamentali che rappresentano interazione e coinvolgimento affettivo verso il feto, un insieme di pensieri che i futuri genitori hanno nei confronti del proprio bambino e che aumenta di intensità con il procedere della gravidanza.
Attualmente tale costrutto viene studiato nell’ipotesi che la qualità dell’investimento affettivo prenatale influisca sui processi della gravidanza, del parto, sulla successiva relazione di attaccamento genitori bambino e sullo sviluppo psichico infantile.
Tra i principali fattori che possono influenzare il rapporto prenatale madre-feto possiamo trovare: quanto la gravidanza sia stata desiderata e cercata; l’umore della donna; l’integrazione nel sistema socio-familiare e l’andamento della gravidanza stessa: una gravidanza in piena salute aiuta a sviluppare pensieri positivi, contribuendo allo sviluppo di un attaccamento prenatale sereno e profondo.
Questo aspetto è molto importante: sappiamo che spesso la gravidanza viene definita e circondata da aspetti solo positivi e piacevoli, ma non sempre è così. A volte ci si sente impotenti, con mille domande e dubbi, timori; ci si ritrova in un corpo diverso, nuovo e in continuo cambiamento.
Per far si che si crei un buon rapporto fin da subito tra la futura mamma e il suo bambino, occorre ascoltarla, supportarla e condividere con lei sia le emozioni positive, ma anche e soprattutto i suoi vissuti più delicati e profondi.
Molti studi dimostrano che il bambino in utero percepisce già le emozioni della madre e tra di loro si crea pian piano una comunicazione che avviene non soltanto per via ormonale, ma anche per via empatica e ne costituisce la base relazionale futura (Lavelli, 2007).
Il feto è sensibile ai rumori, alle vibrazioni, ai suoni e soprattutto alle emozioni provate dalla propria madre. In particolare, verso la fine del terzo mese, quando gli organi interni ed esterni iniziano a formarsi, aumenta la capacità del feto di rispondere agli stimoli provenienti dall’ambiente esterno, creando così un primo legame con l’ambiente che lo circonda. Verso il secondo trimestre di gravidanza, la madre inizia ad avere una rappresentazione ben definita del “bambino in pancia”, comunica con lui, si tocca la pancia alla ricerca di quella “sintonizzazione affettiva” che Winnicott ha definito “preoccupazione materna primaria” (Winnicott, 1958). Questa particolare forma di investimento affettivo si consolida durante il periodo della gravidanza ed è alla base del rapporto futuro dei genitori con il proprio bambino.
Studiare l’attaccamento prenatale tra genitori e feto è oggi possibile anche grazie all’utilizzo di nuovi strumenti di indagine che hanno verificato come il feto non sia assolutamente un essere passivo e isolato dal resto del mondo dal momento che, in particolare nel secondo e terzo trimestre della gravidanza, gli organi di senso e i centri cerebrali si sono già costituiti e sono funzionali e attivi.
L’organo di senso che si sviluppa per primo è il tatto, e diventa per il feto il primo mezzo per poter entrare in contatto con la parete uterina e quindi con la madre. Troviamo spesso racconti di mamme che si toccano la pancia, la stimolano, proprio per vedere se il piccolino reagisce a tale stimolazione, come i primi calcetti. E’ dimostrato infatti che il feto è in grado di percepire se qualcuno o qualcosa tocca il ventre materno e può reagire a seconda che la stimolazione sia gradevole o meno. Il feto è sensibile anche ai rumori corporei della madre e ai suoni del mondo fuori. Attraverso la tecnica della misurazione del battito cardiaco è stato mostrano che il feto riconosce la voce materna, poiché a tale stimolo reagisce con una decelerazione della frequenza cardiaca (Fifer, Moon, 1995).
La voce e le intonazioni della madre, alle quali il bambino è esposto durante la gestazione, verranno riconosciute precocemente dal neonato e favoriranno l’acquisizione del linguaggio verbale. Quella voce tanto sentita nel grembo materno sarà per il piccolino una fonte di rassicurazione una volta venuto al mondo. Per questo motivo è solitamente consigliato ai genitori di parlare al feto; l’uso di un linguaggio semplice e affettuoso favorisce lo sviluppo dell’udito, la memorizzazione del linguaggio e accresce lo stato di sicurezza e protezione.
